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Chiesa di Santa Maria del Gamio

Ultima modifica 10 luglio 2023

Argomenti :
Patrimonio culturale

Chiusa in un intrico di vicoletti e scalinate, dove si affacciano i più antichi palazzi della nobiltà cittadina quali quelli delle famiglie Spinelli, con le sue notevoli decorazioni rinascimentali, dei Forestieri e dei Mastromarchi, si eleva l’antica Chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Maria sotto il titolo del Gamio - dal greco = nozze - riferentesi senza dubbio a quelle di Cana, che erano raffigurate anche in un dipinto, che dominava l’Altare Maggiore poi andato disperso. Come chiaramente si deduce dal titolo, la sua costruzione affonda lontano nel tempo le sue origini quando queste contrade erano abitate o, quantomeno, influenzate da Bizantini, al cui rito la Chiesa appartenne, sembra, fino al 1568, e alle cui maestranze si dovrebbero riferire quelle figure di Santi con iscrizioni in greco che, secondo antiche cronache, erano affrescati sulla facciata, distrutta nel secolo scorso quando tra il 1870 e il 1874, su disegni di un certo Giuseppe Ruffo di Catanzaro, l’edificio venne allungato nella pianta con la creazione di una nuova facciata in stile neo-palladiano. Anche il Campanile venne rifatto totalmente a partire dal 1882 e ricoperto con una cuspide decorata da mattonelle disposte a squame di pesce verdi e gialle di chiare reminiscenze campane.

Si accede alla Chiesa da una delle due porte laterali decorata da antichi battenti lavorati nel 1612 da Giovanni Labollita e ci si immette subito nella navata centrale che, sebbene non ampia, mostra una certa solennità dominata come appare dal sontuoso soffitto a cassettoni lignei intagliati e iniziati ad indorare dall’artigiano Jacono Lanfusa nel 1618 e proseguiti nell’indoratura da Gio:Vincenzo de Untiis nel 1628. La decorazione pittorica con serti di fresche rose si deve invece a Genesio Galtieri di Mormanno e all’anno 1787.
Sulla porta maggiore è sistemato un buon organo (purtroppo non funzionante)  comprato verso il 1650 con più tarde decorazioni pittoriche affidate nel 1753 ad un non meglio conosciuto Felice Spina.
La navata sinistra si apre con l’altare dell’antica confraternita di S. Leonardo, in legno intagliato, dipinto e dorato, datato 1662, che racchiude al centro una tela del Santo dipinta da Giocondo Bissanti sullo scadere del secolo scorso, in sostituzione di una più antica rappresentazione su tavola documentata in carte del ricchissimo archivio della Chiesa. La mensa di questo altare come quelle di tutti gli altri sono in marmo e si devono all’opera del sacerdote D. Alessandro Mastromarchi (1883-1893).
Sulla volta in riquadri decorati da stucchi si susseguono dei dipinti raffiguranti fatti dell’Antico Testamento ( recentemente restaurati)   dovuti a pittori diversi tra i quali Nicola de Qliva ed il saracenaro Francesco Viola attivi tra la seconda metà del ‘700 e i primi del secolo seguente. Nell’ordine sono raffigurati il Roveto ardente, Il serpente di bronzo, la Consegna delle Tavole, Tobia e l’Angelo. Seguono l’altare dedicato al Cuore Divino di Gesù, databile alla fine del secolo scorso, e quello di S. Stefano Protomartire, già appartenente alla famiglia Clemente prima e a quella Mazziotti dopo, con tela rappresentante il Martirio del Santo, datata nel 1794 e completamente ridipinta dal Bissanti, pittore e fotografo napoletano, al quale si commissionò alla fine dell’Ottocento e con una certa leggerezza il restauro o il rinnovo totale di quasi tutti i dipinti della Chiesa.
A metà della navata si apre la Cappella di S. Innocenzo Martire con notevole altare in marmi policromi costruito nel 1772 da Marino Palmieri. Tale altare in origine ospitava la bella statua della Vergine, oggi posta sull’Altare Maggiore. Al suo posto venne collocata nel 1831 la statua lignea di S. Innocenzo, di bottega napoletana. Lo sportello del ciborio (ora nella sala del Museo) mostra dipinto un delicato Gesù Infante che risente, purtroppo, dei pesanti ritocchi del Bissanti. Interessanti sono i due confessionili che si devono all’arte dei Fusco. Oltrepassata la porta della sagrestia si incontra l’Altare della Madonna del Carmine ornata da stucchi elaborati nel 1791. Il dipinto al centro raffigura la Madonna del Carmine tra i Santi Giacomo e Carlo Borromeo, opera del solito Bissanti copiata da una stampa oleografica, anche questa in sostituzione di un dipinto più antico. La navata si chiude con il delicato Altare dell’Angelo Custode, che a Saracena gode di un certo culto. Complesso eseguito da Eugenio e  Carlo Cerchiaro nei primi anni del ‘700, mentre la mensa in pietra opera del Ciampa, discepolo di Gesùmaria, risale al 1735. A fianco sulla mensola sinistra è collocata la statua lignea settecentesca di S Antonio da Padova (proveniente, come la statua di S. Vito che si trova nel succorpo, dal distrutto Convento dei Cappuccini)  e su quella di destra la statua in cartapesta del Guacci di Lecce, raffigurante S. Rocco.
Nello stipo a fianco ha trovato posto  una interessante  esposizione delle reliquie della Chiesa.

 IL SUCCORPO

Dalla porticina affianco si accede nel Succorpo
In genere nelle Chiese calabresi si intende per succorpo quella parte dell’edificio che funziona da cripta quindi nella maggior parte dei casi si tratta di spazi sotterranei. Non così nel caso di S. Maria del Gamio dove il succorpo è dato da un ambiente, ricoperto a volta, che per l’andamento del terreno, fortemente scosceso, è soltanto in minima parte interrato.
Vi si accede da una scala risalente alla fine del ‘700 .
Nel Succorpo si conserva un buon Altare scolpito in pietra secondo i canoni della Rinascenza con pilastrini adornati dalle figure dei Santi Paolo e Leonardo a sinistra e Pietro e Andrea a destra. Nel palliotto, tra gli stemmi dell’antica casata dei Scornavacca, è posto un bellissimo ed espressivo pannello con il rilievo raffigurante il Cristo morto sorretto da Angeli. Nella nicchia centrale è posta la statua dell’Addolorata risalente alla metà del XIX secolo. Tale Altare precedentemente era dedicato all’Assunta.
Sulla parete di fondo è invece la veneratissima effigie del Crocefisso risalente ai principi del XVII secolo e probabilmente di scuola messinese.
Ai suoi lati in ricche cornici dorate sono esposti i dipinti dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria acquistati a Napoli nel 1876.
A fianco la settecentesca statua lignea di S. Vito.
Risaliti dal succorpo in chiesa, si attraversa la zona del transetto, dove a sinistra dell’Altare Maggiore, è il grandioso Pulpito, che fiorisce da un calice, ai cui piedi è la lastra di sepoltura dei sacerdoti ricavata nell’antico ingresso del succorpo. Si tratta di un piccolo ambiente con una serie di sedili in pietra che corrono lungo le pareti. Il Pulpito è la prima opera conosciuta di Gaetano Fusco fondatore di una bottega di ebanisteria, attiva a Morano tra il XVIII e il XIX secolo e famosissima per la bellezza dei lavori eseguiti, che l’elaborò tra il 1751 e il 1754 anche con l’intervento di un tal Francesco la Viola al quale si deve la figura di S. Paolo in predica. Sul lato opposto è la bella Sedia presbiterale che si innesta nel Coro, sempre del Fusco, che si dipana con i suoi 19 posti dietro l’Altare. Il complesso lavoro fu eseguito tra il 1760 e il 1763 per lo spesato di 240 ducati dell’epoca.
In una nicchia, sull’alto della parete, è posta la pregevole statua della Vergine sotto il titolo della Natività, opera in marmo dovuta ad un ignoto scultore napoletano del 1766.
A Nicola Majna, forse di Padula, si deve, invece, l’Altare Maggiore che venne modellato nel 1754 anche con marmi provenienti da esaurite cave dei dintorni di Morano Calabro. Nel palliotto, dietro ad una grata, si conservano (ancora oggi)  le ossa di S. Innocenzo, portate da Roma nel 1644. Lo sportello del Ciborio, che mostra un Calice con l’Ostia raggiata in argento, si deve a Salvatore Vecchio che lo sbalzò nel 1766.
Il Presbiterio è chiuso da una balaustra in marmo risalente al 1894 (in sostituzione di quella in legno, forse dello stesso Fusco). A capo della navata di destra si può osservare l’Altare della SS. Trinità fondato nel XVI secolo da Mundo Lopez, nobile di Castrovillari, fondatore anche dell’Ospedale dei poveri e di un Monastero di Clarisse nella sua città. Il dipinto raffigurante il Crocefisso retto da Dio Padre, ampiamente ritoccato dal Bissanti (nel 1895), fu al centro di una serie di miracoli nel 1622 quando per diversi giorni si vide scaturire dalla figura del Cristo un misterioso liquido
Accanto è il Fonte Battesimale con leone stiloforo del tardo ‘ 400 che sorregge una vasca in pietra e un cappello ligneo decorato da una serie di archetti intrecciati che si assegna alla fine del XVI secolo.
Sulle volte sono dipinti altri fatti dell’Antico Testamento quali Giuseppe riconosciuto dal fratello Beniamino, Mosè salvato dalle acque (qui si trova la scritta Viola P, cioè pinxit), Mosé al pozzo di Madian.
Interessante è anche l’Acquasantiera marmorea con stemma della famiglia Basilio, del XVIII secolo.
Di fronte è l’Altare di S. Gaetano con tela dipinta dal solito Bissanti sulla scorta di una stampa oleografica del tempo.
Segue l’Altare di S. Caterina d’Alessandria con elegante mostra a colonne in stucco del Gesùmaria che incornicia il prezioso dipinto raffigurante le Nozze Mistiche della santa Alessandrina creato nel 1756 da Paolo Di Majo. L’opera giunse a Saracena grazie alla munificienza di D. Anselmo Mastromarchi, protonotario apostolico, che la destinò all’Altare di jus patronatus della propria nobile famiglia. La data del 1756 pone l’opera nel periodo centrale dell’attività del Di Majo, sempre oscillante nei suoi gusti pittorici tra Luca Giordano e Francesco Solimena, e in rapporto con il distrutto ciclo d’affreschi condotto tra il 1753 e il 1757 per la Basilica napoletana di S. Chiara, che insieme agli affreschi per le Abbazie di Montecassino e Montevergine costituivano i suoi lavori più notevoli. La navata si chiude con lo scenografico Altare ligneo della Madonna del Rosario intagliato e argentato nel corso del XVII secolo per la distrutta Chiesa dei Domenicani e trasferito al Gamio nel 1812. Al centro la delicata statuina della Vergine col Bambino, del tipo a manichino, indossa una veste realizzata in stoffa pregiata del ‘700.

 
 Pubblicazioni:
- Gianluigi Trombetti,  Le chiese di Santa Maria del Gamio e delle Armi in Saracena - “Itinerari storico artistico” - Edizione “Il Coscile”, Castrovillari (Cs), 1993.
- Sac. Leone Boniface, La Chiesa di S.  Maria del Gamio in Saracena, Castrovillari, 2000


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